3/30/2007

Mi han fregato due volte. Stando al proverbio dovrei concedergli un’altra possibilità. Ma è facoltà dell’individuo rompere gli schemi. La prima volta fui catturato da uno slogan. Diceva: LA REALTA’ NON ESITE. Dopo Matrix, il film, un’affermazione simile pensavo preannunciasse lo sconquasso dell’anima, un terremoto delle convinzioni. Lo spettacolo sarà o uno schianto, mi dissi, o una porcheria. La seconda volta fui attratto dal titolo: VOX IN RAMA. Come l’erudito foglio di sala puntualizzava, uno spettacolo sulle vergogne dell’inquisizione. Progetto Zoran non lesina certo sulle intenzioni. Spremuti alla ricerca delle fonti, perdono di vista i frutti. Nel foyer è allestito un banchetto: pesce, mela, vino. Simboli dilapidati. Caratteristica che accompagna tutta la processione. In sala: ceri a profusione; santini accatastati per un supermarket della celebrazione. Inizia la predica. C’è un altare, un coro gospel, un attore con una croce disegnata sulla schiena che riassume la vicenda di Fra Dolcino, per chi non la conoscesse. Sbucano due ancelle, in minigonna e parrucca, ad attualizzare la vicenda. E via con il momento reality show. Veniamo informati che dal 1200 in avanti la Chiesa ha trucidato, scannato e massacrato. Per chi non lo sapesse un vero shock, non c’è dubbio. Poi si canta. Poi si balla. Poi si da uno schiaffo a uno spettatore in prima fila, a un altro scattano una polaroid, a un altro ancora consegnano un pezzo di carne sanguinolenta senza risparmio di cliché alcuno (qui però è avvenuto il miracolo: mentre facevo questa considerazione mi sono ricordato della matrice…) Come la volta scorsa, sento la necessità di andarmene. Resisto. Fino a quando intervengono le necessità fisiologiche. Vado in bagno. Torno. Tutto è come prima. Si canta, si balla, si snocciolano i comandamenti. Per un attimo mi assale il terrore che la lista dei crimini perpetrati in nome di Cristo segua una rigorosa successione cronologica! Invece a un certo punto finisce. E non mi ricordo cosa faccia seguito. Solo brandelli di dibattito in cui la compagnia suppone di avere osato troppo!
Scrivo da un atollo imprigionato dal mare dell’adesione e del consenso. In un paese civile il mio gesto sarebbe patetico. Scrivere su questioni inerenti la fede è da idioti, Tommaso D’Aquino docet. Invece, da una sperduta località oramai allo sfascio giungono proclami forsennati. Da parte di un uomo cupo e disperato. Ogni sua parola è ispirata da una visione fosca, quasi wagneriana, del mondo in cui gli è toccato vivere e regnare: della modernità nulla salva. Per l'universo della tecnica nutre un'avversione tomistico-heideggeriana e - grazie alla tecnologia della comunicazione di massa - non cessa di denunciarne il nichilismo. La contemporaneità gli appare un deserto dei sentimenti e dei valori il cui relativismo lo angoscia. Quest’individuo è vittima della sindrome delle Termopili: si vede come moderno Leonida, ultimo baluardo contro il deragliare delle coscienze. Tanta disperazione lo acceca. Non si accorge che a sgominare l’istituzione che rappresenta non è il materialismo, ma l'impresentabiltà dei suoi ministri. La cupezza della sua disperazione gli fa affrontare ogni battaglia come quella di Fort Alamo. Così si chiude in una vera e propria "febbre identitaria": il timore parossistico di smarrire l'identità lo spinge alla difesa a tutti i costi della sua identità Ma dove passa la falce identitaria, non cresce più l'erba, e restano soltanto macerie.

3/27/2007

Cinque sacrifici per apparire.
Per primo la cattura dell’interesse: il lavoro è degno di attenzione. Le credenziali ci sono: bello l’allestimento visivo; l’impianto drammaturgico (la stipula del contratto) sa di paranoico quel tanto che basta per eccitare la curiosità (sempre morbosa) del voyeur; le due performer, quando il pubblico entra in sala, hanno una buona presenza scenica.
Per secondo la constatazione: peccato non sia riuscito. In effetti il compito è piuttosto arduo: " affrontare i paradossi della società dell’immagine e il rapporto tra finzione e verità nell’epoca dei reality show" non era cosa facile. Verrebbe da chiedersi se non sia meglio "volare più basso" e magari stupire con i risultati piuttosto che con le intenzioni. Ma questo è un altro discorso. Veniamo allo spettacolo. Dice il regista: "Due donne mostrano allo sguardo cinque privazioni…" fermiamoci qui. Si parla di due donne e non di due attrici. Questo perché ognuna delle protagoniste è chiamata all’impossibile compito di "rappresentare se stessa". E di fatto non ci riesce. Questo è il limite macroscopico di fronte al quale naufraga l’intero progetto. Che si riduce, anche nelle parti più riuscite (quelle nelle quali il pubblico si diverte), a una candid-camera. Sono questi, forse, gli unici momenti di presunta "verità". Il resto naufraga in uno stillicidio di espedienti (il timer che scandisce la durata; le webcam sulla scena; la vestizione e il denudamento dei corpi) senza filo conduttore.
Per terzo il giudizio, opinabile, ma categorico, che risulta negativo. L’appunto principale è la mancanza di coraggio. Con il proposito di sfidare i reality show si doveva osare di più. Quello che si vede non ha né la robustezza della parodia, né l’efficacia della denuncia. Si ferma a metà strada, come la confessione di una delle due donne-performer. Manca la "crudeltà" che il tema lasciava supporre. I sacrifici prospettati risultano temperati dal buon senso e dalla modestia. Non a caso l’unico in grado di risultare veramente "performativo" per le due donne, è quello dichiarato fallito.
In ogni caso alla fine il pubblico applaude.

3/26/2007

Gentile Stabile Pericolante,
è con un misto di stupore e rincrescimento che raccogliamo il "pettegolezzo"(che di questo si tratta) che ci riguarda. Non ci nascondiamo certo dietro un dito: sappiamo che il nostro lavoro, come ogni fenomeno che interessi anche solo di striscio, la ricerca, è discutibile, così come non siamo certo alla ricerca di consensi unanimi o plebiscitari. Tuttavia di un lavoro si tratta, quindi ci aspettiamo critiche serie e motivate. Il nostro disappunto è semmai legato alla competenza e alle modalità di espressione del soggetto in questione. Detto questo nessuno si è mai sognato che potesse esistere un "complotto" ordito contro di noi. Né tantomeno che questo necessitasse un compenso (non ci sentiamo così autorevoli da giustificare una tale organizzazione). Questo è il motivo per cui qualsiasi ipotesi che va in quella direzione suona grottesca, e come tale non merita di essere presa in considerazione. Se rispondiamo alle malevole insinuazioni che qualcuno mette in giro è solo per sgombrare il campo da ogni equivoco. Ribadiamo: quell’uscita non ci è piaciuta, ma ognuno è libero di pensare e dire quello che più gli garba, GRATIS!