11/30/2006

il damerino

se ti svegli di mattino
e ti senti canterino
spalanca il finestrino
che arriva il damerino

voglio parlare del damerino, figura incontrata per la prima volta lungo i corridoi del palazzo. ha una figura snella, allampanata, si muove traballando ma sembra sapere quel che fa. non parla tanto, si accompagna con gesti rapidi e nervosi, la magrezza fa pensare che rifiuti il nutrimento. ha incarichi importanti, diresti, ma non si sa quali nè per conto di chi. apre porte, chiude finestre, porta carte e valigie, non lo vedi ma lui è lì, nell'angolo di fronte a te. conosce tutti e tutti sembrano sapere chi sia, non da dove venga, ma questa è un'altra storia. veste tinte pastello, da esercito della salvezza, una giacca stropicciata o forse alla moda. ricorda vagamente Monsieur Hulot, il piglio blasèè nell'affrontare gli inconvenienti, timido, ma al tempo stesso pronto ad affondare il colpo.
da quando l'ho notato lo vedo ovunque, quasi fosse una presenza immateriale, uno spirito guida, di chi, naturalmente non è dato saperlo...

chi ha perso il tesserino
ed è caduto in un tombino
non imprechi contro il destino
chiami subito il damerino

11/29/2006

ieri mi hanno fatto uscire. una festa di compleanno, no, non di una persona, di un evento. anniversario forse è la parola giusta, ammesso che ci sia una parola per definire la situazione. c'è, mi dicono che c'è. solo non la ricordo. c'era un tipo con un codice civile avvolto in una busta di nylon, diceva di essere un avvocato. alcuni cantavano, canzoni tristi, senza convinzione. dovevano far ridere invece facevano vergogna. pure la gente si divertiva, almeno dava questa impressione. forse perché si conoscevano tutti e quelli che non si conoscevano volevano conoscere. c'era una società in miniatura, divisa in caste. ai vertici i festeggiati, da basso gli intrusi, come me. solo che io non mi sentivo escluso, solo annoiato e stanco. forse è dovuto al fatto che esco poco. ma loro mi tengono rinchiuso, dicono che è per il mio bene, ma io mi scoccio e allora voglio andare in giro solo che poi non mi diverto mai. ieri per esempio ho lasciato un biglietto nella borsa di una fanciulla che ho incontrato alla festa. c'era il mio nome e una frase di circostanza. non ho potuto lasciarle altro che il telefono non me lo fanno usare. spero che non l'abbia buttato

11/28/2006

la morte in diretta

"L'umanità che ai tempi di Omero era oggetto di contemplazione per gli dei dell'Olimpo, ora lo è per se stessa. La sua alienazione da sé ha raggiunto un grado tale da farle vivere la sua propria distruzione come una sensazione estetica di prim'ordine" (Walter Benjamin).

Quando tutto è esposto alla vista non c'è più niente da vedere. E' lo specchio dell'appiattimento, del grado zero, dove - contrariamente a tutti gli obiettivi dichiarati - si dimostra la scomparsa dell'Altro, e fors'anche il fatto che fondamentalmente l'essere umano non è un essere sociale.
Non c'è bisogno di entrare nel doppio virtuale della realtà, ci stiamo già - l'universo televisivo non è altro che un dettaglio olografico della realtà globale. Fin nella nostra esistenza più quotidiana, siamo già in situazione di realtà sperimentale.
La Tv e i media, sempre più incapaci di rendere conto degli avvenimenti (insopportabili) del mondo, ora scoprono la vita quotidiana, la banalità esistenziale come il più distruttivo degli eventi, come l'attualità più violenta, come il luogo stesso del crimine perfetto. E difatti lo è. E la gente è affascinata, affascinata e terrificata dall'indifferenza del Niente-da-dire, Niente-da-fare, dall'indifferenza della sua stessa esistenza.
Non essere Niente, e essere guardato come tale. Si può scomparire in due modi: o si esige di non essere visti (è l'attuale problematica del diritto all'immagine) oppure si finisce nell'esibizionismo delirante della propria nullità. Farsi nullità per essere visti e guardati come nullità - ultima protezione contro la necessità di esistere e l'obbligo di essere se stessi.
L'espressione di sé come forma ultima della confessione, di cui parlava Foucault. Non tenere più nulla per sé. Parlare, parlare, comunicare instancabilmente: questa la violenza perpetrata contro l'essere singolare e il suo segreto.
In quest'oscenità, in quest'impudicizia, il peggio è la condivisione forzata, quella complicità automatica dello spettatore che risulta da un vero e proprio ricatto. Questo l'obiettivo più chiaro dell'operazione: l'asservimento delle vittime - ma un asservimento volontario, di chi gode del male subito, della vergogna che gli viene imposta. E il colmo è che tutta una società condivide il suo meccanismo fondamentale: l'esclusione interattiva! Decisa in comune, consumata con entusiasmo. Se tutto finisce nella visibilità, la quale - come il calore nella teoria nell'energia - è la forma più degradata dell'esistenza, il punto cruciale è riuscire a fare di questa perdita di ogni spazio simbolico, di questa forma estrema di disincanto della vita, un oggetto di contemplazione, di raccapriccio e di desiderio perverso.