Scrivo da un atollo imprigionato dal mare dell’adesione e del consenso. In un paese civile il mio gesto sarebbe patetico. Scrivere su questioni inerenti la fede è da idioti, Tommaso D’Aquino docet. Invece, da una sperduta località oramai allo sfascio giungono proclami forsennati. Da parte di un uomo cupo e disperato. Ogni sua parola è ispirata da una visione fosca, quasi wagneriana, del mondo in cui gli è toccato vivere e regnare: della modernità nulla salva. Per l'universo della tecnica nutre un'avversione tomistico-heideggeriana e - grazie alla tecnologia della comunicazione di massa - non cessa di denunciarne il nichilismo. La contemporaneità gli appare un deserto dei sentimenti e dei valori il cui relativismo lo angoscia. Quest’individuo è vittima della sindrome delle Termopili: si vede come moderno Leonida, ultimo baluardo contro il deragliare delle coscienze. Tanta disperazione lo acceca. Non si accorge che a sgominare l’istituzione che rappresenta non è il materialismo, ma l'impresentabiltà dei suoi ministri. La cupezza della sua disperazione gli fa affrontare ogni battaglia come quella di Fort Alamo. Così si chiude in una vera e propria "febbre identitaria": il timore parossistico di smarrire l'identità lo spinge alla difesa a tutti i costi della sua identità Ma dove passa la falce identitaria, non cresce più l'erba, e restano soltanto macerie.
1 Comments:
un bastavdo
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